Il 2023, proclamato dall'Unione Europea come l'Anno Europeo delle Competenze, ha portato nuovo slancio all'apprendimento permanente come strumento indispensabile per aziende e singoli cittadini per contribuire alla transizione verde e digitale attraverso il sostegno all'innovazione e alla competitività. Il dibattito ha messo nuovamente sotto i riflettori le otto competenze di cittadinanza elaborate a livello europeo:

    • Comunicazione nella lingua madre.
    • Comunicazione in lingua straniera.
    • Competenza matematica e competenze di base in scienze e tecnologie.
    • Competenza digitale.
    • Imparare ad imparare.
    • Competenze sociali e civiche.
    • Spirito di iniziativa e imprenditorialità.
    • Consapevolezza ed espressione culturali.

Come ente di formazione, siamo chiamati a riflettere sulle competenze che ogni persona ha diritto e dovere di sviluppare.
Ne abbiamo evidenziate otto, in una sorta di controcanto delle otto competenze europee, e puntiamo a far sì che ogni educatore o formatore ENGIM possa svilupparle al meglio.

1. Competenza dell’affacciarsi, dello sporgersi
Non solo osservo, mi sporgo. Accetto il pericolo e faccio qualcosa di più: mi metto in gioco, mi butto. Per mantenere viva quella curiosità elementare di cui non posso fare a meno e provo a rompere il recinto, spesso angusto, delle mie conoscenze. Affacciandomi e sporgendomi verso saperi e linguaggi di un’altra disciplina, scopro quanto la matematica sia parente della musica e la pittura dialoghi con la matematica e con il raccontare storie. Cerco di scoprire queste connessioni abitando con bambini e ragazzi i luoghi di confine, che sono spesso i più interessanti. 
L’attitudine allo sporgermi, allo sbilanciarmi, non riguarda solo i contenuti, ma anche i metodi e le strade con cui compio le necessarie manovre di avvicinamento ai nuovi territori che abbiamo deciso di esplorare. 
Ma per mettermi in gioco davvero devo sperimentare diversi linguaggi, perché posso incontrare la storia con il teatro, entrare nella geografìa e nella geometria con il corpo o cercare il ritmo che accomuna le diverse arti. 
senza spaventarsi dell’apparente confusione, senza tirarsi indietro.

2. Competenza del decentrarsi, divertirsi e saper vedere le cose da un altro verso
Bambini e ragazzi spesso imitano noi docenti ridendo. Saper guardare con ironia agli spazi della scuola e il nostro operare fa bene. Osservare le cose da un altro punto di vista, accorgerci del lato comico, surreale, a volte grottesco dei nostri comportamenti — come quando urliamo di non urlare — ci aiuta a considerare il nostro ruolo con meno presunzione. Saper ridere di sé aiuta lo stabilirsi di relazioni più aperte e umane,non nascondendo le nostre fragilità.
Se prestiamo attenzione al linguaggio, che è sempre un buon alleato del pensiero, scopriamo che diversità e divertimento hanno la stessa etimologia ed evocano il capovolgimento, il guardare da un’altra parte e cambiare verso.
La diversità a volte è tragica e lascia senza parole. Spesso provoca forme palesi o nascoste di discriminazione. Il più delle volte è complessa, sfaccettata, non tollera la sola commiserazione. Cerca verità nella relazione e chiede autenticità e audacia. «Diversità è ricchezza» è una frase che rischia la retorica. Diversità è anche fatica, ostacoli da superare. Perché diventi davvero ricchezza agli occhi di tutti c’è un gran lavoro da fare e l’attenzione al contesto è fondamentale. 
Dobbiamo coltivare una sorta di sguardo antropologico verso le condizioni in cui si sviluppano le relazioni in quell’universo chiuso, e in certi casi asfissiante, che sono a volte le nostre classi. Il comico, anche dissacrante, può aprirci a prospettive inaspettate e a considerare con maggiore intelligenza e indulgenza tante nostre mancanze.

3. Competenza del provare curiosità e amore verso la cultura in ogni suo aspetto
Credo sia d’obbligo, nel nostro lavoro, leggere tanto, vedere film, assistere a qualche concerto o spettacolo teatrale, essere aperti verso le scoperte della scienza, incuriosirci delle musiche e dei giochi in cui sono immersi bambini e ragazzi. Se non incarniamo l’amore per la conoscenza, se non ci mostriamo capaci di riconoscere la straordinaria stratificazione di storia e arte che caratterizza ogni angolo del nostro Paese, cosa ci stiamo a fare a scuola?
Cos’è la cultura, se non curiosità critica e capacità di discussione di ciò che accade? Che cos’è l’arte, se non ribellione al proprio tempo e proposta di altri sguardi sul mondo? Cos’è la scienza, se non il rimettere continuamente in causa ciò che diamo per scontato e per vero? Far sì che la scuola sia tempio di cultura, arte e scienza è nostra responsabilità e vive nel comportamento e atteggiamento di ciascuno di noi.

4. Competenza del fringuello picchio delle Galapagos
C’è un piccolo uccello, nelle isole Galapagos, che non si spaventa di fronte agli aculei del cactus. Al contrario, li stacca con il becco e li trasforma in un efficace strumento per procacciarsi cibo, piegandone leggermente la punta e facendone un piccolo arpione capace di scovare dai buchi dei tronchi i vermetti di cui si nutre. Anche noi, in classe, a volte ci troviamo di fronte a bambini e ragazzi che mostrano i loro aculei, spuntati a causa di sofferenze e difficoltà.
Riuscire a trasformare queste armi di difesa aggressiva in elementi di nutrimento è il compito più arduo a cui siamo chiamati, ma questa capacità costruttiva concreta è una competenza che abbiamo l’obbligo di coltivare, se abbiamo l’ambizione di rendere la nostra scuola davvero inclusiva. C’è un ulteriore suggerimento che ci offre il fringuello picchio. Dopo avere utilizzato l’aculeo-arpione, il piccolo uccello delle Galapagos lo conserva poggiandolo su una foglia perché anche altri lo possano utilizzare, ricordandoci quando il darci suggerimenti reciprocamente, scambiarci percorsi e materiali di lavoro efficaci e cooperare tra noi insegnanti sia essenziale, per sviluppare questa competenza.

5. Competenza dell'improvvisazione jazz e del navigare di bolina
Nel mare agitato delle relazioni reciproche, che tanto condiziona ogni processo di apprendimento, dobbiamo sapere improvvisare. Saper rinunciare al programma che avevamo stabilito per quel giorno e deviare il nostro cammino, reagendo positivamente all’inaspettato. «Improvvisare», ci ricorda il grande jazzista Paolo Fresu, «significa utilizzare il proprio strumento, qualsiasi questo sia, per portare all’esterno le nostre idee maturate e sedimentate grazie allo studio e all’apprendimento, ma anche il nostro stato d’animo e l’espressione della nostra personalità».
La competenza del saper improvvisare non s’improvvisa. Si affina giorno dopo giorno, navigando di bolina, controvento. Alcuni penseranno forse che siamo un po’ pazzi, perché non andiamo mai nella stessa direzione e a volte ci incliniamo tanto da sembrare che ci si rovesci, ma per risalire il vento è obbligatorio procedere a zig zag e la qualità nel nostro mestiere si misura nella capacità di non dare mai nulla per scontato e sapere continuamente cambiare strada, cercando di seguire e trovare il percorso più adatto anche per il più lontano dei nostri ragazzi. La scuola deve essere un po’ meglio della società che la circonda, altrimenti a cosa serve?

6. Competenza del saper sostare nelle domande e abbandonare le proprie abitudini mentali
Bambini e ragazzi riconoscono al volo se le domande che poniamo loro sono legittime, cioè sono domande attorno a cui anche noi ci interroghiamo cercando risposte, o sono domande fatte solo per controllare che sappiano ripetere ciò che abbiamo loro detto o fatto studiare. Bambini e ragazzi hanno diritto a incontrare nella scuola adulti in ricerca, capaci di abbandonare le loro abitudini mentali, sostare a lungo intorno a domande di fondo insieme a ragazze e ragazzi. Adulti capaci di trasformarsi, almeno in alcuni momenti, in nomadi erranti, capaci di immaginare nuove mappe da disegnare mentre si è in cammino. Se vogliamo costruire ponti tibetani sospesi nel vuoto, capaci di congiungere scienza, storia e cultura per i ragazzi di oggi, dobbiamo coltivare e predisporci a uno sguardo creativo e aperto.
Carla Melazzini, che è stata una straordinaria maestra di strada a Napoli, ci ricorda che per lavorare con ragazzi dalla vita dissestata e disarticolata è necessaria «una didattica itinerante lungo strade che non sono quelle della propria nicchia antropologica, ma sono tutte le strade della città. Nessun percorso mentale di conoscenza fatto su libri e quaderni può essere innescato dentro aule scolastiche — almeno per i ragazzi come i nostri, ma non solo — se il cammino di piedi materiali su strade non conosciute non sblocca le emozioni da una paura paralizzante. La didattica itinerante diventa per noi di “Chance” materia curricolare per costruire competenze di cittadinanza, competenze professionali e competenze cognitive. In quest’ordine, perché le prime sono condizione e motore delle altre».

7. Competenza dell’essere insegnanti rabdomanti, capaci di scoprire sorgenti nascoste in coloro che abbiamo la pretesa di educare
A differenza di quanto pensiamo noi adulti, bambini e ragazzi non sono mai superficiali. Possono non avere parole o riferimenti culturali per esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti, ma c’è in tutti una profondità nel loro sentire. È necessario, dunque, affinare la nostra capacità di comportarci da veri e propri rabdomanti, per individuare dove si trova la sorgente profonda, dove è nascosta l’acqua che ciascuno sente come propria fonte più pura e naturale. E scavare insieme per farla emergere e poterla condividere con gli altri. Il pensiero infantile, diverso da tanto nostro ragionare adulto, così come il pensiero adolescente, colmo di ossimori e paradossi, possono essere straordinari alleati se pensiamo che la costruzione culturale che cerchiamo di realizzare a scuola debba essere una costruzione collettiva capace di rendere ogni classe una comunità. E comunità si dà quando si desidera ascoltare l’opinione e il punto di vista degli altri, di tutti gli altri.

8. Competenza dell'accorgersi delle discriminazioni grandi e piccole fin dal loro primo affiorare, e di non poterle tollerare
Ci sono discriminazioni evidenti e discriminazioni nascoste. Piccole e grandi angherie che bambini e ragazzi subiscono dai compagni e molte volte anche da noi insegnanti, senza che nemmeno ce ne si accorga. La discriminazione è una delle maggiori cause di sofferenza nell’infanzia e in tutta la vita. Accrescere il nostro senso di giustizia e rendersi conto di ogni forma di esclusione e discriminazione è una qualità necessaria. Coltivare una sensibilità che renda intollerabile ogni forma di discriminazione è una competenza fondamentale per chi educa. E premessa imprescindibile perché si creino condizioni positive per l’apprendere. Se non si ha fiducia in se stessi, se non si sente di essere ascoltati e accolti, difficilmente si costruisce una relazione viva con la conoscenza. Cercare di conoscere il mondo, aprirsi agli altri e scoprire qualcosa di sé sono processi profondamente intrecciati. La cultura è relazione o non è.

padre Antonio Lucente
Presidente ENGIM