Dual ECOsystems: ecosistemi formativi nell'ICT
Riportiamo l'articolo pubblicato sul bimestrale Nuova Professionalità (Edizioni Studium) di gennaio/febbraio 2022, sul progetto Dual ECOsystems.
IL PROGETTO TRANSNAZIONALE DUAL ECOSYSTEMS
SPUNTI PER LA CREAZIONE DI ECOSISTEMI FORMATIVI NELL’AMBITO ICT
All’interno del programma Erasmus+ (KA2 - Strategic Partnerships supporting exchange of good practices)[1] è stato avviato il progetto internazionale Dual ECOsystems - EU Alliances for ICT, di durata triennale (2020-2023) che vede come partner strategici: ENGIM Lombardia (ente capofila), l’Università degli Studi di Bergamo, Confartigianato Bergamo, l’Università di Brema in Germania, il Belfast Metropolitan College (BMC) in Irlanda del Nord e la rete di scuole professionali HETEL con il centro di formazione professionale San Jose Maristak (entrambi attivi nei Paesi Baschi in Spagna).
I presupposti teorici del progetto
Processo di convergenza europeo e scambio di buone pratiche
Prima ancora che a livello europeo si parlasse di “sistema duale” era in atto da parte dell’Unione uno sforzo volto al coordinamento dei diversi sistemi nazionali di qualificazione scolastica e formativa, avente come punto di riferimento l’EQF (European Qualification Framework)[2].
Se il processo di convergenza tra i vari Paesi per quanto riguarda l’equiparazione dei titoli formali di istruzione ha ormai prodotto i primi risultati tangibili, in ambito VET (Vocational, Education and Training)[3] sul piano ordinamentale le differenze restano ancora oggi notevoli, con particolare riferimento a: lunghezza, tipologia dei percorsi, governance, valore delle qualifiche, limiti di età per l’accesso ai percorsi di apprendistato ecc. Il quadro che emerge è dunque un variegato mosaico.
Per questo, benché l’interesse per l’implementazione dei sistemi duali di formazione professionale sia molto alto e universalmente diffuso, ci sono ancora, accanto a Paesi in cui il contratto di apprendistato rappresenta la modalità “normale” per erogare i percorsi di “Initial VET”[4], realtà nazionali dove tale istituto stenta a consolidarsi con un’offerta capillare[5]. In questo secondo caso sono il dinamismo dei territori e l’intraprendenza delle singole imprese a spingere gli operatori della formazione ad adottare il modello duale, più che la cornice normativa e gli incentivi statali, pure favorevoli in molti casi all’utilizzo dell’apprendistato, e cionondimeno non sufficienti a propiziarne la diffusione generalizzata. In sintesi, si può dire che il sistema duale di formazione professionale assume varie configurazioni locali, in base alla cornice normativa nazionale/regionale, ma anche al particolare contesto territoriale dove si svolgono le esperienze formative, grazie alla collaborazione di scuole, imprese ed enti locali.
Il progetto Dual ECOsystems mira proprio a valorizzare le esperienze locali realizzate dagli enti partner i quali, forti di una fattiva cooperazione fra scuole e imprese del settore ICT, hanno deciso di avviare nell’ambito della formazione professionale post-secondaria percorsi di duali L’intento è quello di cogliere le peculiarità di tali iniziative, saggiarne il valore, e così trarne spunti utili al miglioramento di esperienze simili.
Il concetto di «ecosistema formativo»
Poiché le (presunte) buone pratiche che si vogliono studiare dimostrano come a livello locale la riuscita del sistema duale passi per la creazione di «ecosistemi formativi» - all’interno dei quali collaborano centri di formazione, imprese, associazioni di categoria, sindacati e università - si ritiene necessario, prima di illustrare i criteri di analisi e valutazione che verranno adottati nel corso della ricerca, precisare questo concetto fondamentale.
Le prime riflessioni sugli ecosistemi formativi risalgono agli studi pionieristici di Finegold dedicati appunto agli «high-skills ecosystem». Secondo lo studioso britannico le politiche formative finalizzate al raggiungimento dell’equilibrio fra domanda delle imprese e offerta di diplomati avrebbero inibito nell’Inghilterra degli anni Ottanta i processi di innovazione indispensabili per garantire nella cosiddetta società della conoscenza la competitività dei territori, con effetti addirittura depressivi sull’economia[6].
Da allora si è capito che non bastava più per assicurare lo sviluppo economico e sociale di una regione programmare a tavolino uno «skills equilibrium»[7], ma occorreva piuttosto garantire le condizioni favorevoli allo sviluppo di ecosistemi capaci di stimolare in una determinata area geografica la maturazione delle competenze necessarie all’innovazione e allo sviluppo, ossia: prossimità e interdipendenza tra organizzazioni e persone dello stesso settore; disponibilità di servizi finanziari e di consulenza per il sostegno delle aziende, nonchè di relazioni informali attraverso le quali possono circolare le informazioni; soprattutto, presenza di scuole di eccellenza capaci di attrarre e formare giovani di talento interessati a lavorare nelle imprese locali. Per dirla con Florida, bisognava costruire le «infrastrutture umane» capaci di liberare in termini di innovazione e produttività le potenzialità del territorio[8].
I distretti industriali italiani sono classici esempi di ecosistemi territoriali che sfruttano lo scambio informale di conoscenza tacita disseminata nel territorio per innovare prodotti e processi e rendere le imprese locali competitive sul mercato internazionale[9]. Eppure, oggigiorno per far fronte alle sfide della quarta rivoluzione industriale pare indispensabile che i medesimi distretti rafforzino le dinamiche spontanee su cui hanno costruito la loro fortuna interagendo maggiormente con gli istituti d’istruzione. Solo così la conoscenza tacita incorporata nei processi lavorativi e negli individui, si può trasformare in «conoscenza generativa», cioè conoscenza capace di «innovare, adattare, personalizzare, gestire interattivamente le soluzioni e i prodotti» da offrire sul mercato globale[10].
La prospettiva delle skills policy tradizionali deve essere quindi ribaltata: la formazione non rincorre l’innovazione, ma ne è il presupposto. Per questo le politiche formative devono andare oltre una logica «domandista» (funzionale alle sole esigenze del tessuto produttivo: prima le imprese innovano i processi produttivi, poi le scuole si adeguano) e persino «interattiva» (tessuto produttivo e scuole interagiscono per trovare l’offerta formativa migliore, concependosi però ancora come due spazi formativi separati). Più precisamente, il sistema formativo dovrebbe pensarsi come parte integrante dell’unico ecosistema della formazione e della produzione e contribuire così alla “costruzione” di professionalità capaci di governare in futuro quei processi lavorativi di cui oggi neppure gli operatori economici possono definire precisamente i contorni.
Primi criteri di analisi e valutazione delle buone prassi
Il progetto Dual ECOsystems - EU Alliances for ICT mira dunque a favorire lo scambio di conoscenza di buone pratiche fra i membri partner (e fra coloro che sono collegati alle loro reti) circa le possibili soluzioni da adottare al fine di costruire ecosistemi formativi nell’ambito della formazione professionale secondaria e post-secondaria nel settore ICT.
Tale scambio vuole stimolare anche una riflessione critica sui criteri in base ai quali si può definire una collaborazione fra imprese, scuole professionali e territorio «ecosistema formativo» di qualità. Tali criteri, individuati dai partner del progetto, sono: standard d’insegnamento elevati, tasso di occupabilità dei diplomati più alto rispetto alla media territoriale, modalità didattiche work-based, presenza di un valido sistema di certificazione delle competenze[11].
Secondo quanto stabilito dai soggetti partecipanti, possono rientrare fra le buone pratiche che concorrono alla costituzione dell’ecosistema formativo:
- strumenti per l’identificazione dei fabbisogni emergenti di competenze (skills intelligence), svolte sia dalle Università sia dei centri di formazione professionale in collaborazione con le associazioni di categoria;
- attività di orientamento strutturate e sistematiche, di cui si possa valutare l’impatto in termini di riduzione dell’abbandono scolastico e la riattivazione delle persone lontane dal mercato del lavoro[12];
- programmi duali di istruzione e formazione professionali capaci di intercettare fabbisogni professionali emergenti;
- programmi duali di istruzione e formazione professionali flessibili;
- didattica innovativa (anche per l’acquisizione delle soft skills);
- formazione continua dei lavoratori in grado di consentir loro l’acquisizione di titoli d’istruzione o competenze certificate;
- dispositivi che consentano alle aziende (o alle associazioni di categoria) di riconoscere e valutare le competenze apprese on the job dai lavoratori.
L’auspicio del progetto è che lo scambio di informazioni e la conoscenza delle buone pratiche internazionali possa favorire la creazione a livello locale di sistemi VET più efficienti, flessibili, personalizzabili e basati sullo sviluppo delle competenze, a vantaggio tanto dei giovani in formazione, quanto delle imprese.
Sulla rivista Nuova Professionalità nei prossimi numeri verranno presentate alcune buone pratiche realizzate all’interno degli ecosistemi formativi dove operano gli enti partner del progetto e sulle quali si avvierà una prima analisi critica e riflessiva.
Paolo Bertuletti, Francesco Magni
Università degli Studi di Bergamo
Alberto Sorrentino
Responsabile Sede Regionale - ENGIM Lombardia
[1] Cfr. C. de Olagüe-Smithson, Analysing Erasmus+ Vocational Education and Training Funding in Europe, Technical and Vocational Education and Training: Issues, Concerns and Prospects (Vol. XXX), Springer Nature Switzerland AG 2019.
[2] Sull’applicazione dell’EQF nella VET e I suoi problem si può vedere: M. Brockmann, L. Clarke, C. Winch, Competence and competency in the EQF and in European VET systems, in «Journal of European Industrial Training», XXXIII/8-9 (2009), 787-799.
[3] Per un quadro sintetico e aggiornato sulla VET a livello internazionale si veda, per esempio, l’ampio volume di D. Guile, L. Unwin, The Wiley Handbook of Vocational Education and Training, Wiley-Blackwell 2019.
[4] Il caso più celebre è rappresentato dalla Germania, dove nel 2019 il 54% di coloro che avevano un’età compresa fra i 16 e 24 anni era impegnato in un percorso VET in sistema duale (BiBB, Datenreport zum Berufsbildungsbericht 2021 - Informationen und Analysen zur Entwicklung der beruflichen Bildung, Bonn 2021, p. 165).
[5] Come l’Italia, dove nell’a.f. 2018/2019 i giovani iscritti ai percorsi di Istruzione e formazione professionale presso gli enti di formazione accreditati dalle Regioni erano 155.619, pari al 5,6% dell’intera popolazione scolastica nella secondaria di secondo grado (dati MIUR e INAPP) e ancora più rari erano coloro che svolgevano la propria formazione secondaria in apprendistato duale, che certo comprende anche studenti dell’Istruzione, ma è praticato soprattutto nell’IeFP (nel 2018 sono stati attivi mediamente 10.532 contratti di apprendistato di primo livello; cfr. INAPP-MLPS, Lo sviluppo dell’occupazione e della formazione in apprendistato. XIX Rapporto di monitoraggio, ottobre 2021, p. 16).
[6] Cfr. D. Finegold, High-Skill Ecosystems, in «Oxford Review of Economic Policy», 15 (1999), pp. 60-81.
[7] Ibidem, pp. 66-70.
[8] Cfr. R. Florida, Toward the Learning Region, in «Futures», XXVII/5 (1995), p. 532.
[9] Cfr. A. Amin, N. Thrift, Neo-Marshallian Nodes in Global Networks, in «International Journal of Urban and Regional Research», 4, 1992, p. 577.
[10] E. Rullani, Territori in transizione. Il nuovo rapporto tra imprese e Politiche territoriali per la rinascita industriale e l’innovazione, in Cappellin R. et Alii (ed.), Crescita, investimenti e territorio: il ruolo delle politiche industriali e regionali, Scienze Regionali, eBook 4.1. (2014), p. 45.
[11] Su questi temi, per un primo approfondimento, si segnalano i seguenti testi: G. Bertagna, Lavoro e formazione dei giovani, La Scuola, Brescia 2011; G. Sandrone, La competenza personale tra formazione e lavoro, Edizioni Studium, Roma 2018; A. Potestio, Alternanza formativa. Radici storiche e attualità di un principio pedagogico, Edizioni Studium, 2020.
[12] Sul tema dell’orientamento si veda S. Soresi (a cura di.), L’orientamento non è più quello di una volta. Riflessioni e strumenti per prendersi cura del futuro, Studium, Roma 2021.